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E Vinverra: — Bevete una volta, poi andate a dormire. Domani è fatica.
— Non andate di sopra? — gli chiedo.
Poi ero cosí stanco che ciondolavo la testa. Non ricordo come passò la notte. Avevo freddo, dormivo appoggiato con la testa sulla tavola, ogni tanto nel sonno facevo un salto, cercavo di fumare e la sigaretta si spegneva; poi sentivo parlare e sentivo silenzio.
Mi sveglio di colpo, che la finestra era grigia. Vinverra non c’era, c’era invece l’Adele che accendeva il fuoco. Mi ricordavo adesso che avevo bevuto del vino con Vinverra; ma Gisella me l’ero ricordata anche dormendo, e avevo ancora quel sapore in bocca.
— E Gisella?
— Gisella è sempre in agonia.
— Le fa male?
Ma l’Adele mi chiede se volevo mangiare. Aveva gli occhi rossi e addormentati, e sembrava piú stanca di me. Mi dice di andarle a prendere dell’acqua, se volevo scaldarmi.
Fuori era chiaro. Avevo il secchio in fondo al pozzo quando sento delle voci e vedo il prete con la camicia bianca e un tovagliolo sulle mani e due ragazzi davanti. Vanno dritti in cucina e il cane abbaia. Quando torno col secchio pieno, erano già saliti.
Sopra sentivo delle voci, e borbottare e tirar tavole e sedie. Viene Vinverra dalla stalla. Gli dico che è arrivato e lui mi chiede se era solo o il sacrista gli portava l’incenso. Poi si versa un bicchiere e si pulisce la bocca.
In quel momento, dalla scala scende Ernesto. Lo credevo in collina da tutta la notte, e feci allora per salire anch’io, ma Ernesto mi dice: — Aspettate, le dà l’olio santo.
— E con questo?
— Le donne non vogliono.
Dicendo cosí fa per ridere, e doveva essere la prima volta in tutta la notte, perché si vedevano ancora le mascelle tese.
— Bevete una volta, Ernesto, — gli dice Vinverra. — Poi sarà meglio dar l’acqua alle bestie, e voialtri pensare a piazzare.
— Non ho ancora il libretto, — gli dico.
Vinverra dice: — Non pensateci, — e ci porta verso la stalla.
Il terreno era ancor umido dalla serena e, spalancati i portoni
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