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aspetta che gli accenda la macchina. Guardavo il lenzuolo e la faccia, e cercavo di stamparmi in mente com’era Gisella da viva, per ricordarmela sempre. Le ferite alla gola resteranno, pensavo, non si chiuderanno mai piú come le altre. Da morti, la pelle marcisce, non si rimargina piú. Chi sa se sentiva ancor male?
Allora me ne vado, perché il rosario e l’altare, e quell’odore di ambulatorio, e sapere che Gisella era viva e non potere far niente, mi tagliavano le gambe. Poi, quelle donne mi guardavano, e la vecchia baciava un rosario e si baciava le dita e borbottava borbottava come se criticasse. Mi fermo un momento nell’ultima stanza, ch’era scura, e dico forte: — Era meglio se restavo in prigione.
Sotto, Vinverra non si era mosso di là. Sembrava un vecchio all’osteria, ammazzato dal vino, col cappello e gli occhi fissi sul tavolo. E allora, senza guardare quel catino, prendo una fetta di polenta e me la mangio. Sapeva di terra e di minestra fredda e trangugiandola pensavo a Gisella.
Finalmente sentiamo abbaiare e una voce ci chiama, e Vinverra non si muoveva. Arriva Nando, tutto spaventato ma non lo diceva, e ci dice invece che lo avevano fermato i carabinieri. Lo mando a dormire.
Nel cortile faceva fresco, quasi freddo e si vedeva la mammella sotto la luna. Mi torna allora in mente Rico e se sapeva che quella era la notte che poteva ammazzare Talino. Lui, doveva ammazzarlo. Toccava a lui. In prigione io c’ero già stato. Ma quel Rico doveva esser quadro come gli altri.
Poi mi metto a fumare e dicevo: «No cosí sporchi l’acqua. No cosí sporchi l’acqua», con la voce come l’aveva gridato Gisella, ma piano. Come sono le cose, pensavo: uno che fosse nuovo e la sentisse raccontare, darebbe la colpa a lei. Mentre invece la colpa era di tutti, compreso il maresciallo dei carabinieri, e lei l’avevano ammazzata.
La finestra era gialla, quasi spenta. Se andavo su ancora una volta, quelle vecchie mi saltavano addosso perché non ero il Santissimo. Gisella non sarebbe stata cosí, ero sicuro. Avevo voglia di chiederglielo, ma poi pensavo che era morta.
Entro allora in cucina, e Vinverra mi guarda, con quegli occhi da morto. Mangio dell’altra polenta e la mastico e dico: — Se Talino ritorna?
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