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Partiti tutti dal cortile, non mi ero mosso e avevo visto le donne salire e scendere la scala, e la vecchia tagliare col filo la polenta e darne ai bambini, e poco alla volta s’era fatto silenzio. Si sentivano i grilli e, lontano, anche i cani.

Vinverra, col cappello in testa, s’era seduto anche lui e fissava la polenta e sembrava ascoltasse quei tonfi che i piedi scalzi facevano sulla volta. Già prima si era alzato, era andato ai piedi della scala, e tornando aveva detto, non a me: — Donne che aspettano il prevosto.

— Cosí il grano è già bell’e battuto, — gli dico, — Vinverra. Come farete adesso?

Vinverra mi dice: — No, che non è battuto. Attacchiamo domani.

Non mi aveva neanche guardato, perché ascoltava piú lontano, fissando in terra la faccia. Che domani la macchina andasse piazzata, era vangelo per lui. Non si accorgeva che le mani mi tremavano; ma capivo che era inutile contrariarlo. E poi, non gli facevo attenzione, perché avevo di continuo qualcosa davanti agli occhi come quando uno va per la strada e di colpo si vede un’automobile addosso.

— Chi lo batte? Vi mancano quattro braccia.

Ma Vinverra testardo: — Verranno a aiutarci, verranno. Ernesto è suo interesse.

— Ernesto corre dietro a Talino, — dico. — E fa bene.

— Non tocca a lui, — dice arrabbiato Vinverra. — Non tocca a lui.


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