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le mani sugli occhi, come le toccava fin da principio. Vinverra era seduto alla tavola e guardava fisso, masticando la cicca. Tutti ballavano nell’ultima fiamma e non sembrava che vedessero quel catino sul tavolo.

— È morta? — chiedo piano alla guardia.

— Cercano il fratello, — dice lui. — Questa volta è mal messo.

Il medico ci tenne sospesi fino a notte, e i carabinieri erano andati da un pezzo e arrivava gente dalle cascine, quando Vinverra esce sulla porta e borbotta; — Bisogna finire quel grano. Tu Gallea, prendi qualcuno e libera il carro.

E allora nel cortile, mentre le donne andavano e venivano e si sentiva esclamare e domandare e la Pina portava fuori le sedie, alla luce di una lampada a petrolio Gallea con Ernesto e gli altri buttarono i covoni. Si vedevano ancora nel portico le macchie di sangue. Cosa c’è di speciale, pensavo, tutti i giorni le strade ne bevono. Ma a guardarlo e pensare che quel fango era il calore di Gisella che se ne andava, veniva freddo anche a me.

Poi si sente gridare un bambino, dalle stanze di sopra; era il bambino dell’Adele che voleva il suo latte.

Poi sulla porta succede un trambusto. Era il medico e sembrava un cacciatore: con la giacca di cuoio e la borsa a tracolla. Si abbottonava la giacca e cercava Vinverra. Io pensavo: — Se è stato da lei tanto tempo, vuol dire che ha potuto far qualcosa e che è viva — . Dal cortile vedevo soltanto che era un uomo alto, e Vinverra vicino a lui sembrava un gobbo. I bambini ch’erano intorno alla moto si staccano. Le donne parlavano parlavano.

— E dove è scappato quell’altro? — diceva il medico. — Ne avrà per trent’anni.

Guardo quella finestra ancora accesa e mi mordo la bocca.

— Peccato. Era un fisico sano. Neanche i maiali resistono tanto. Tenete da conto le altre.

Mi ricordo che il medico accese la moto facendo un fracasso d’inferno, e che Ernesto gli parlava ancora che era già in marcia. Poi, che accese il faro facendo scappare i bambini; e, una volta cessato il rumore nella piana, nel cortile per un momento fu scuro e nessuno parlava. Corsi allora, deciso, a cercare l’Adele.

Dalla scala la vecchia scendeva appoggiata ai due muri. — Fate largo, — le dico. Dietro c’era l’Adele col bambino in braccio che poppava. La vedevo al riflesso della luce di sotto. — Tornate giú,


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