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— Su e giú, su e giú, — gridava quello grasso, in mezzo alla polvere e al sole, — domani ballate per l’ultima volta.

A vedere Ernesto che s’era tolto la giacca e faceva il contadino, e la schiena piegata di quelle ragazze, e l’Adele che dalla finestra della sua stanza guardava e pareva che ridesse, mi viene vergogna e do mano a un tridente per aiutare anch’io. — Forza, — grida Talino, — si mette anche il macchinista — . Parlava sghignazzando, il sudore e le vene del collo lo eccitavano. I covoni pesavano e Talino me li gettava sulla testa come fossero dei cuscini. Ma tenevo duro; dopo cinque o sei viaggi vedevo solo come un incendio e avevo in bocca un sapore di grano, di polvere e sangue. E sudavo.

Poi mi fermo, arrivando sotto il portico. Quelle erano le gambe di Gisella. Il covone mi bruciava il collo come un disinfettante. E sento Talino che dice: — Gisella è venuta a vederti, forza! — Getto il covone sul mucchio e la vedo che passa ridendo, col secchio, fresca e arrabbiata. Mi asciugo il sudore, e Gisella era già contro il pozzo, che agganciava. Tanto io che Ernesto le lasciamo tirare su l’acqua, e poi corriamo insieme a bere. — Uno per volta, — diceva Gisella, e gli altri due si fermano lassú coi tridenti piantati.

— Quando abbiamo finito, porta qui la bottiglia, — dice Vinverra traversando il portico.

Mi ricordo che Gisella guardava dritto nel grano, mentre bevevo. Guardava tenendomi il secchio a mani giunte, con fatica, come aveva fatto per Ernesto ma lui lo guardava, e con me stava invece come se godesse facendosi baciare. Quando ci penso, mi sembra cosí. O magari era soltanto lo sforzo, e il capriccio di avercene due intorno che bevevano. Non gliel’ho piú potuto chiedere.

Ecco che saltano dal carro Talino e Gallea. Vengono avanti come due ubriachi. Talino il primo, con le paglie in testa e il tridente nel pugno.

— Là si lavora e qui si veglia, — fa con la voce di suo padre.

— C’è chi veglia di notte e chi veglia di giorno, — gli risponde Gisella. Ma lui dice: — Fa’ bere, — e si butta sul secchio e ci ficca la faccia. Gisella glielo strappa indietro e gli grida: — No, cosí sporchi l’acqua — . Dietro, vedo la faccia sudata dell’altro. — Talino, — fa Ernesto, — non attaccarti alle donne.

Forse Gisella cedeva; forse in tre potevamo ancora fermarlo;


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