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— Quello che non capisco, — dico alla vedova, — è che, se tutti lo conoscono, non l’abbiano tenuto dentro.

E occhiali neri di nuovo: — È che non ci sono prove, caro voi. Che uno sia ignorante non basta per la giustizia. Tutte queste campagne sarebbero dentro. Sangue caldo ce n’è dappertutto. Tra uomini...

— Fosse tra uomini, — salta su la mia vedova, — ma quell’altra che ha fatto prima di andare soldato, non era piú da ignorante, era da bestia.

— Cos’ha fatto?

— Storie vecchie.

Ma la vedova mi guarda tra arrabbiata e ridendo.

— Magari a voi non sembra niente, — mi fa, — non ve lo dico perché siete un giovanotto e ci ridete — . E si volta alla guardia:

— L’ha fatta sporca però.

— Anche questo non si sa, — dice l’altro. — A sentir voi, succede solo di questo.

— Come non si sa? C’era Miliota che diceva in piazza che sua sorella ha perso sangue una settimana.

— Non avrà mica adoperato il badile, — dice la guardia, coi denti. — E poi chi sa che sangue era.

— Siete tutti villani, — gridava la vedova, — siete tutti villani.

Io mi alzo e le vado vicino e le faccio tranquillo: — Era mica Gisella? — e dagli occhi capisco che mi aveva capito. Allora pago e vengo via.

Vado al muretto di quell’altra sera, e mi metto a fumare. — Non fa niente, — pensavo, — non lo sa che lo sai. Ti han fatto fesso, questo sí — . Dico: venire in mezzo ai goffi, per trovare che sono piú furbi di te.

Poi butto via la sigaretta e giro ancora. Tutte le facce che vedevo sulle porte avevo voglia di pestarle. Mi sembravano tanti Talino. Era con lui che ce l’avevo. Gisella era niente. Quante botte, madonna, se fossi stato io Rico, quante botte.

Poi torno in piazza per calmarmi, e passo davanti all’osteria. C’era sempre la guardia, seduta sotto l’almanacco. Giro la faccia e tiro via. Mi fermo davanti ai tabacchi, perché cominciavano a uscire di chiesa.

Qui davanti erano in diversi, dei vecchi e dei giovani, tutte facce testarde, che si voltano e mi guardano e mi tengono d’oc-


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