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— Dove?
— A pigliare un po’ d’aria.
C’era solo da sfondarsi le scarpe, ma Talino mi dice che a quell’ora era già asciutto. — Sono stracco, — gli faccio. E Talino, ch’ero giovane e avevo la sua età.
— Che età hai? — gli chiedo.
— Ventisei — . Carogna, pensavo, devo anche venirti dietro di notte. — Sei tu il primo dei tuoi?
— No, — diceva lui, cercando in un angolo. — Prima c’è l’Adele e la Pina — . Poi viene alla luce e teneva in mano una roncola larga quattro dita. Se l’attacca di dietro, alla cinghia, e scende la scala. — Andiamo.
— Dove andiamo?
— Da Ginia.
E allora andiamo, a cercare questa Ginia. Ci mettiamo per la strada della cisterna; e non sapevo neanch’io perché stracco com’ero gli andavo dietro. Sarà stato il sereno, sarà stato che da un pezzo non giravo piú di notte, non dico di no; ma era anche che uno scatto cosí da Talino non me l’aspettavo. — Dove sta questa Ginia? — gli dico, passando davanti alle canne. Lui tira dritto come un mulo, e non risponde. Dopo un poco la strada comincia a salire, e lí non c’ero mai stato. Da una parte era stoppia, dall’altra un muro di tufo, tagliato nel vivo. Per quanto mostrava la luna, sopra c’erano vigne. Andiamo andiamo, che si sentivano i nostri passi. A una svolta guardo in giú e vedo la cascina che sembrava schiacciata nella piana. Allora mi fermo e dico: — Ma non c’è la Grangia in cima?
Fu la volta di Talino, e mi dice: — Hai paura? Noi andiamo per la nostra strada.
— Come? — faccio, — e quel pagadebiti che hai preso? Non voglio mica passare per complice.
Talino non mi ascolta neanche e tira dritto. Dopo un bel po’ sento un cane che abbaia e vedo Talino che mi fa segno. — Non sia mai detto — . Con due salti gli sono vicino e la marcia riprende. Vuole darsi delle arie, pensavo; si vede che Ginia lo tira.
Case non se ne vedevano, ma stradette ogni tanto che sparivano sotto le piante. Bel posto lassú, ma venirci di giorno. C’era perfino degli alberi in un campo carichi di frutta color della luna, e volevo fermarmi. Dall’altra parte della valle si vedevano i lumi
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