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dietro una pianta, e io andavo, sotto delle belle prune gialle che mi facevano gola, ma non potevo prenderne, per via di quegli occhi. Bisogna che chieda a Gisella dove sono le pesche e le prune, pensavo, o che vada con lei nella vigna.
Mentre camminavo sotto le piante e saltavo dei fossi, sentivo lontano qualcuno cantare, voci di collina che sembrano sperse e ramenghe fra il cielo e la terra, come una banda che suona nelle sere di vento. Non sapevo che in quel paese cantavano; non si vedeva mai nessuno, e se non era Gisella chi poteva essere? Quando finalmente sbuco davanti alla collina della Grangia, mi fece l’effetto di essere proprio grande e grossa. Quante vigne, quanta stoppia, quanti mucchi di piante, sotto il cocuzzolo pelato! Ce n’era sí della gente. Sembrava una carta geografica.
Se il vecchio credeva di prendermi fisso per lavorante, si sbagliava. Non c’era bisogno di sposarle, le sue figlie. Gisella, lavata e vestita, poteva fare la sua figura anche a Torino, ma anche lei era troppo ignorante. In un paese dove non c’era neanche un biliardo non mi pigliavano. «Bisogna che dica al vecchio di mettermi a dormire con lei invece che con Talino, — pensavo. — Allora si comincerebbe a ragionare».
Il tempo s’era tutto coperto, e andava a fare un bel soffoco quella notte.
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