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Quando non erano in campagna, le ragazze stavano dietro la cucina nella stanza del torchio, ch’era lunga, senza mattonato e senza finestre, e piena di cipolle, di patate, di zappe e di roba. Là dentro, voltando le spalle alla porta, faceva buio come in un sotterraneo.
— Dove dormite voialtre? — chiedo alla Pina, sullo scalino.
— Dormiamo di sopra, nelle stanze del grano.
— E i lenzuoli? — dico guardandole i piedi che sembravano blocchi di terra.
Pina credeva che le guardassi le gambe, e storceva gli occhi e stringeva le ginocchia.
Sta’ tranquilla che non te le tocco, pensavo. — Andare scalzi, si perde l’odore, — le faccio, — ma i piedi s’ingrossano e la pelle diventa una scarpa. Talino ha la schiena bianca. Voi no?
Ma quella goffa non capiva neanche che le facevo il discorso che aveva voluto.
— Non lo so mica, — dice. — Non possiamo vederci la schiena.
— Ma le cosce sí. Non ve le siete mai viste?
La Pina si mette a ridere dalla vergogna, ma il rosso non si vedeva. Tracagnotta com’era, faceva rabbia. L’unica che sapeva diventar rossa, in quella casa, era Gisella.
— Voialtre somigliate a Talino, — dico per dire. — L’unica che non somiglia a Talino è Gisella.
— Gisella è piú bianca di tutte, — dice la Pina, come un toro. Ma poi si ferma perché capisce che solo questo m’interessava. Allora le chiedo se lei e Miliota ch’erano piú vecchie, non si sposavano ancora. Ma lei testarda diceva di no.
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