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Dico a Talino: — Va’ di sopra, vado fin lí e ritorno — . C’era proprio la luna, una luna pesante, colore del caldo. Mentre andavo alla cisterna pensavo che quella notte dell’incendio tutta la stoppia era stata un grano, alto e maturo, e se avevano visto Talino in mezzo al grano, figurarsi me. Non poteva invitarmi sotto quelle piante dove avevamo parlato?

Quel pozzo era un muretto rotondo, proprio sull’orlo della strada, e piú in là c’era un ciuffo di canne che nascondeva la collina. — Verrà dalla strada, — dicevo, — e andremo nelle canne, — e mi butto dietro al muretto per non essere esposto e sento le pietre sotto. — Pur che venga, saprà lei dov’è l’erba; lo sanno sempre, — e mi metto a fumare per fare qualcosa.

Faceva piacere star bassi perché c’era piú grilli che stelle e ogni tanto le cagne su per la collina si davano una voce, e metti che qualcuno mi girasse intorno, in quello scuro non lo sentivo arrivare. Le canne di là dalla strada scricchiolavano. Avevo sempre creduto che di notte la paura nascesse dal fresco, ma là faceva caldo e la schiena non mi stava ferma lo stesso. Fossi almeno sicuro che Talino non viene a cercarmi, pensavo; poi faccio: — Sei stupido. Se ha paura anche a uscire di giorno!

Oh Berto, mi dice una voce, e se cercano te, non Talino?

— Chi? — dico io, — case non ne ho bruciate; e, se è per Ernesto, non me l’avevano detto ch’era lui il macchinista.

Poi mi viene la rabbia di essere cosí stupido, e ascolto i grilli e non dico piú niente. Meriteresti, — pensavo, — che non venisse Gisella: è una donna e lei si non dovrebbe uscire di notte. C’era un po’ di vento sulla stoppia, ma cosí pigro che non si portava via il fumo; e solo come un fiato rinfrescava e schiariva la voce dei cani. Un bel momento sento dall’aia anche il nostro che scatta rabbioso.

— Se fosse Gisella, le farebbe le feste, — dico, — maledetta la luna.

Allora mi metto a pensare che cosa voleva dirmi Gisella e che cosa mi avrebbe lasciato fare. — Qui, sotto la luna, non vorrà, — dicevo; — e se volesse soltanto parlare? — Ma ridevo perché, raccontandole della collina che sembrava una mammella, sarei venuto sul discorso.

Aspetto sempre, e la luna saliva. Non levavo la testa da terra e sentivo anche le scosse che le voci dei cani davano alle pietre.


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