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dici lire nei giorni di piazza, ma io non sapevo che da mangiare e da bere ce ne davano le cascine, se no lo portavo a venti.

Passai la mattina sotto la tettoia delle macchine: la motrice a caldaia la capivo, bastava un Talino qualunque a pulirla, e prendo il piú sveglio dei figli dell’Adele, che non aveva dieci anni, e lo metto a lustrare gli ottoni col petrolio. Il difficile stava nella baracca di legno, ch’era la vera trebbiatrice, tutta fatta a trabocchetti che si muovevano per trasmissione; ma siccome erano fermi prendo un pezzo di carta, lecco il lapis e comincio a disegnare. Viene Vinverra e mi chiede se tutto va bene. — Bisogna provarla, — gli dico. Intanto lo faccio parlare, e mi noto di dove usciva la paglia, di dove usciva il grano e dove si attaccano i sacchi. Poi salgo sopra, dove s’infila il covone intiero, e guardo nell’imboccatore e accendo un fiammifero, con Vinverra che bestemmiava di fare attenzione, e alla fine ho il mio grafico con tutta la sezione segnata.

— E adesso bisogna provarla, — gli dico.

Per provarla bisognava accendere la caldaia, e Vinverra masticava e i ragazzi correvano, ma io dico che basta Talino che mi faccia da cinghia e dia qualche giro al volante di comando. Talino arriva insieme alle donne, il vecchio dice di far presto che c’è il fieno che aspetta. E io allora: — O lui o un bue, fate voi — . Poi lo attacco alla ruota in alto e gli dico di farcela vedere. Talino si sputa sulle mani e prende un raggio, io mi metto a distanza, vedo che Gisella ci guarda e dico: — Via!

Sono sicuro che Miliota o l’Adele avevano la schiena da fare altrettanto. O saltava la ruota o la macchina andava. Difatti si muove. Si muove tutta quanta, scricchiolando: si spalanca il cassone di sotto, i setacci si mettono a ballare, i rastrelli mi mostrano i denti come fossero cani arrabbiati. Andava a strappi; e Talino faceva una faccia che sembrava gli pestassero le dita.

— Basta, — dico alla fine. — Ho capito. Ci vuole un po’ d’olio — . Gisella andò a prendere l’olio, e Talino rimettendosi la camicia nei calzoni mi guardava come un insensato.

A mezzogiorno vengono a chiamarmi e si mangiò un’altra volta il minestrone di verdura, e le acciughe e il formaggio. Era cosí che quelle donne crescevano spesse, ma Gisella, che adesso mi guardava ridendo, sembrava invece fatta di frutta. Perché, una volta finito, chiedo a Talino se non aveva delle mele, e lui mi porta in una stanza dove ce n’era un pavimento, tutte rosse e arrugginite


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