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Ci svegliarono i buoi dalla stalla, e prima cosa vedo la collina della Grangia che riempiva tutto il portico. Sembrava Torino quando si esce prima di giorno, che non ci sono neanche i tranvai. Ma qualcuno nella stalla sgridava già le bestie.
— Dov’è quel pozzo? — dico a Talino.
Lui mi mostra in fondo alla stoppia, dove passava la strada, un muretto rotondo che pareva una cisterna.
— È là che ti sei nascosto? — e intanto rido. — Non ci credo che sei tu che hai dato fuoco.
— Non sono io, — dice Talino, e distacca una giacca dal muro. — Chi l’ha detto che sono io?
Allora lo fisso, e lui mi guarda con la faccia di quand’era in prigione, tanto piú che la barba gli era ancora cresciuta. Lo guardo di nuovo, e vedo che ride come se fossi il suo stupido.
— Bestia, — gli faccio. — Hai mangiato dei grilli?
— Avanti, facciamo la lotta, — dice lui mettendosi in posizione.
— Sei matto, — gli dico, — sbrigatela tu, sei hai voglia.
Sulla porta troviamo l’Adele col secchio, che veniva dal pozzo,
e ci sediamo a colazione. L’Adele girava scalza intorno al fuoco e ci arrostiva i peperoni. Non si sentiva nessuno muoversi.
— Fate tutto voi, — le dico, — in campagna e in cucina.
— Adesso c’è Talino, — dice parandosi dal fuoco col braccio. Manca ancora mio marito ch’è richiamato. Era lui che serviva la macchina.
— Vi conviene tenerne una apposta, per quel poco grano che fate?
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