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— Da Monticello saranno due giorni, camminando di vetta sulla collina.

— E quando cominciano queste colline?

— Subito.

Ero stufo di vedere binari, stufo. Talino aveva le scarpe rotte, ma lui magari andava scalzo. Guardavo le mie che tenevano ancora, e mi viene in mente che potevo prenderne un paio a Pieretto, tanto per un pezzo non ne avrebbe piú avuto bisogno. Chi sa Michela, se l’aveva capita che non ero il suo stupido? magari credeva che fossi scappato per paura, e rideva. Poteva ridere sí, perché sarebbe stato meglio girare al fresco per Torino, adesso che veniva sera, e mangiare un boccone tranquillo, coi miei soldi in tasca.

— Noi andiamo sulla collina? — dico a Talino.

— Se vogliamo. C’è la vigna.

— Ma la cascina è in piano?

— Sicuro.

— E la barba te la fai a casa?

Talino rideva.

— E il paese dov’è? A fondo valle?

Finalmente arriva il treno, adagio, che sembrava Talino quando traversa una strada. Forza! Una volta montati e partiti, comincia a far fresco per il movimento, e corriamo a randa di un fianco boscoso. Talino non si sedeva e tira fuori il suo foglio. Poi viene un milite e si conoscevano e si mettono a discorrere, e quello mi guarda. Io fumavo e prendevo dell’aria.

Talino si sporge e mi chiama a vedere dalla sua parte. C’era una collinaccia che sembrava una mammella, tutta annebbiata dal sole, e le gaggie della ferrata la nascondono, poi la fanno vedere un momento, poi entriamo in una galleria e fa fresco come in cantina ma si dimenticano di accendere la luce.

Grido allo scuro: — Cosa c’è da vedere?

— Non sono io, — mi risponde il milite. — Restate al vostro posto — . Mi era venuto lui sotto le mani.

Quando tornammo al chiaro, mi volto a Talino e lo vedo di nuovo ficcato a sporgersi, che sventolava le mani come una donna e si voltava e rivoltava col fazzoletto per traverso. — Senti l’odore della stalla? — volevo chiedergli, ma lui si godeva fin il fresco della corsa tant’era contento.

— Adesso la collina gira e si vedono le piante giuste, — dice


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