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Ritratto d’autore (a Leone)
La finestra che guarda il selciato sprofonda
sempre vuota. L’azzurro d’estate, sul capo,
pare invece piú fermo e vi spunta una nuvola.
Qui non spunta nessuno. E noi siamo seduti per terra.
Il collega — che puzza — seduto con me
sulla pubblica strada, senza muovere il corpo
s’è levato i calzoni. Io mi levo la maglia.
Sulla pietra fa un gelo e il collega lo gode
piú di me che lo guardo, ma non passa nessuno.
La finestra di botto contiene una donna
color chiaro. Magari ha sentito quel puzzo
e ci guarda. Il collega è già in piedi che fissa.
Ha una barba, il collega, dalle gambe alla faccia,
che gli scusa i calzoni e germoglia tra i buchi
della maglia. È una barba che basta da sola.
Il collega è saltato per quella finestra,
dentro il buio, e la donna è scomparsa. Mi scappano gli occhi
alla striscia del cielo bel solido, nudo anche lui.
Io non puzzo perché non ho barba. Mi gela, la pietra,
questa mia schiena nuda che piace alle donne
perché è liscia: che cosa non piace alle donne?
Ma non passano donne. Passa invece la cagna
inseguita da un cane che ha preso la pioggia
tanto puzza. La nuvola liscia, nel cielo,
guarda immobile: pare un ammasso di foglie.
Il collega ha trovato la cena stavolta.
Trattan bene, le donne, chi è nudo. Compare
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