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Città in campagna
Papà beve al tavolo avvolto da pergole verdi
e il ragazzo s’annoia seduto. Il cavallo s’annoia
posseduto da mosche: il ragazzo vorrebbe acchiapparne,
ma Papà l’ha sott’occhio. Le pergole dànno nel vuoto
sulla valle. Il ragazzo non guarda piú al fondo,
perché ha voglia di fare un gran salto. Alza gli occhi:
non c’è piú belle nuvole: gli ammassi splendenti
si son chiusi a nascondere il fresco del cielo.
Si lamenta, Papà, che ci sia da patire piú caldo
nella gita per vendere l’uva, che a mietere il grano.
Chi ha mai visto in settembre quel sole rovente
e doversi fermare al ritorno, dall’oste,
altrimenti gli crepa il cavallo. Ma l’uva è venduta;
qualcun altro ci pensa, di qui alla vendemmia:
se anche grandina, il prezzo è già fatto. Il ragazzo s’annoia
il suo sorso Papà gliel’ha già fatto bere.
Non c’è piú che guardare quel bianco maligno,
sotto il nero dell’afa, e sperare nell’acqua.
Le vie fresche di mezza mattina eran piene di portici
e di gente. Gridavano in piazza. Girava il gelato
bianco e rosa: pareva le nuvole sode nel cielo.
Se faceva sto caldo in città, si fermavano a pranzo
nell’albergo. La polvere e il caldo non sporcano i muri
in città: lungo i viali le case son bianche.
Il ragazzo alza gli occhi alle nuvole orribili.
In città stanno al fresco a far niente, ma comprano l’uva,
la lavorano in grandi cantine e diventano ricchi.
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