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ché una cosa è certa: veder godere, anche per opera nostra, non basta alla nostra pace. Esempio: le donne insoddisfatte.

Pare un miscuglio di sacro e di profano, ma non è. La vita comincia nel corpo.

Scrivo: ***, abbi pietà. E poi?

Non dovrai mai piú prendere sul serio le cose che non dipendono da te solo. Come l’amore, l’amicizia e la gloria.

E quelle che dipendono da te solo, importa poi molto se le pigli o no sul serio? Chi ne saprà nulla? Perché, se si è soli, non c’è chi: anche l’io se ne scompare. Sempre piú bello.

26 novembre.

Perché dimentichiamo i morti? Perché non ci servono piú.

Un triste o un malato lo dimentichiamo — respingiamo — in ragione della sua inservibilità psichica o fisica.

Nessuno mai si abbandonerà in te, se non ci vedrà il suo tornaconto.

E tu? Credo di essermi abbandonato una volta disinteressatamente. Quindi non debbo piangere se ho perduto l’oggetto di quell’abbandono. Non sarei piú stato disinteressato, in questo caso.

Eppure, a vedere quanto si soffre, il sacrificio è contro natura. O superiore alle mie forze. Non posso non piangere. E piangere è cedere al mondo, è riconoscere che si cercava il tornaconto.

C’è qualcuno che rinuncia pur potendo avere? Questa carità non è altro che l’ideale dell’impotenza.

E allora, basta con la virtuosa indignazione. Se avessi avuto denti e astuzia avrei raccolto io la preda.

Ma questo non toglie che la croce del deluso, del fallito, del vinto — di me — sia atroce a portare. Dopotutto il piú famoso crocefisso era un dio: né deluso né fallito né vinto. Eppure con tutta la sua potenza, ha gridato «Eli». Ma poi si è ripreso, e ha trionfato, e lo sapeva prima. A questo patto, chi non vorrebbe la crocefissione?

Tanti sono morti disperati. E questi hanno sofferto piú di Cristo.