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Questa era la ragione per cui sostenevo che il genio poetico dev’essere fecondissimo e durare tutta la vita. Il suo spirito non deve mai cessare di produrre scoperte, da usare in poesia, perché, se si arresta, rivela con ciò che quelle poche fatte non provenivano da temperamento nato a scoprire, ma erano velleità sentimentali d’azione scambiate per scoperte prepoetiche.

Io non so ancora se sono un poeta o un sentimentale, ma certo che questi mesi atroci sono la prova decisiva. Se, come spero, anche i piú grandi scopritori hanno passato di simili mesi, allora non è a buon mercato la gioia di comporre. Si vendica, e bene, la vita, se qualcuno le ruba il mestiere. Non è niente la preoccupazione del comporre — il famoso tormento — dinanzi a quella dell’aver composto e poi che cosa fare.

Il libro Lévy-Bruhl Mythologie Primitive lascia supporre che pensando la mentalità primitiva la realtà come scambio continuo di qualità e di essenze, come flusso perenne in cui l’uomo può diventare banano o arco o lupo e viceversa (ma non l’arco diventare lupo, per esempio), la poesia (immagini) nasce come semplice descrizione di questa realtà (il dio non somiglia al pescecane, ma è pescecane) e come interesse antropocentrico.

Insomma, le immagini (ciò m’interessa!) non sarebbero gioco espressivo, ma positiva descrizione. Alle origini, s’intende. Quanto all’antropocentrismo, non ne dubitavo.

2 ottobre.

Finalmente qualcosa di positivo. Quell’orrore del baccano pubblico, quello schifo dei gesti meschini altrui, quel rimorso delle esitazioni e indegnità formali mie, sono la prova di una mia sufficienza, di un mio senso del contegno, che hanno del dignitoso. Persino la mia ricerca di poesia oggettiva voleva dir questo.

Oggi però sono desolato di aver sempre sinora trascurato le forme, le maniere, di non essermi fatto uno stile di comportamento, ma di aver sempre agito a casaccio fidandomi del mio gusto sdegnoso e commettendo cosí infinite stonature romantiche.