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smo? No, non ho fatto fatica. E poi, al primo assalto dell’«inquieta angosciosa», sono ricaduto nella sabbia mobile. Da marzo mi ci dibatto. Non importano i nomi. Sono altro che nomi di fortuna, nomi casuali — se non quelli, altri? Resta che ora so qual è il mio piú alto trionfo — e a questo trionfo manca la carne, manca il sangue, manca la vita.

Non ho piú nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono.

Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò.

Ti stupisci che gli altri ti passino accanto e non sappiano, quando tu passi accanto a tanti e non sai, non t’interessa, qual è la loro pena, il loro cancro segreto?

18 agosto.

La cosa piú segretamente temuta accade sempre. Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi?

Basta un po’ di coraggio.

Piú il dolore è determinato e preciso, piú l’istinto della vita si dibatte, e cade l’idea del suicidio.

Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l’hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio.

Tutto questo fa schifo.

Non parole. Un gesto. Non scriverò piú.