Pagina:Pavese - Il mestiere di vivere.pdf/381

1950 377


Anche tu sei la primavera, un’elegante, incredibilmente dolce e flessibile primavera, dolce, fresca, sfuggente — corrotta e buona — «un fiore della dolcissima valle del Po», direbbe chi so io.

Eppure, anche tu sei soltanto un pretesto. La colpa, dopo che mia, è soltanto dell’«inquieta angosciosa, che sorride da sola».

Perché morire? Non sono mai stato vivo come ora, mai cosí adolescente.

Nulla si assomma al resto, al passato. Ricominciamo sempre.

Chiodo scaccia chiodo. Ma quattro chiodi fanno una croce.

La mia parte pubblica l’ho fatta — ciò che potevo. Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti.

17 agosto.

I suicidi sono omicidi timidi. Masochismo invece che sadismo.

Il piacere di farmi la barba dopo due mesi di carcere — di farmela da me, davanti a uno specchio, in una stanza d’albergo, e fuori era il mare.

È la prima volta che faccio il consuntivo di un anno non ancor finito.

Nel mio mestiere dunque sono re.

In dieci anni ho fatto tutto. Se penso alle esitazioni di allora.

Nella mia vita sono piú disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme? Niente. Ho ignorato per qualche anno le mie tare, ho vissuto come se non esistessero. Sono stato stoico. Era eroi-