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27 maggio.

Ingresso all’Ade. La strada incassata nel tufo, coperta di ontani e olmi, verde e trasparente e cupa, che sbuca nel sole al portale di Sovana. Il mondo etrusco è oltre l’Ade, è ctonio. Su questa terra si sente che cosa significa «sottoterra», cioè «scavato nel tufo».

Si sente anche che cosa significhi che l’Esperia era la terra dei morti. I volti di un paese prima che la storia ci passi e dopo, si somigliano. Sono natura. «Natura» è il regno dei morti.

Una persona che ti ripugni, va sopportata. Dopo un po’ viene fuori — infallibile — qualcosa di non comune, di vero. Ciò anche se costei ti seccava per la sua banalità e insincerità. Anzi, per questo. Questa donna baffuta e sufficiente («Sampierdarena che ormai è Genova», «Non mi parlino di Napoli», «L’effetto che fanno gli asparagi, adesso non glielo posso dire» ecc.) spiega che gli asparagi vanno cotti con le punte fuori dall’acqua, cosí le punte cuociono al vapore e conservano il buono. Dice che Cinotti (via XX Settembre) è il miglior ristorante di Genova. Ha mangiato la zuppa di pesce a Napoli, su una chiatta. È odiosa, ma piena di cose.

(«Io avevo un’amica che adesso suona»

«In tempo di guerra non ho sofferto. Ah no non ho sofferto. Magari un’insalata, ma sotto c’era la carne... » «Da Ranieri, via delle Carrozze, ho trovato un cameriere che era a Chianciano. Mi ha trattato bene»).

2 giugno.

La folla, quando sia vista come umano vivaio di ciò che ti fa vivere, rasserena e dà coraggio.

Ci sono dei santi, dei preti energici, che hanno la superbia infantile della loro forza. Ma non tanto infantile: ne sanno l’uso e lo sfruttano.