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14 marzo.

Hemingway è lo Stendhal del nostro tempo.

15 marzo.

Si scrivono qui le cose che non si diranno piú, sono i trucioli della piallatura. La piallatura è la giornata. Qui è, come dire, un modo spiccio di far fuori le tavole d’approccio, le gabbie, le impalcature, i ghiribizzi. Si fa piazza pulita per veder chiaro il grosso pezzo che verrà.

Hai sostenuto che le forme, gli stili, la pagina sono un’altra realtà da quella vissuta. È banale. Ma è una nuova dimensione. Non è che si esprima niente, scrivendo. Si costruisce un’altra realtà, che è parola.

Tutti ebrei, tutti uguali, come niente fosse successo. Parlano dei grattacapi, dei problemi, del mondo, col tono di chi si mimetizza. Si vorrebbe vederli proclamare che sono qualcosa, che contano in quanto tali, che hanno una parola da dire. Ce l’hanno, e non lo dicono.

17 marzo.

Finita un’opera, si cerca di rinnovarne la forma non il contenuto. Lo stile non i sentimenti. Il simbolo non la cosa simboleggiata.

Dove si sente la stanchezza è nello stile, nella forma, nel simbolo. Di sentimento-contenuto se ne ha sempre abbondanza, per il solo fatto che si vive.