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vati dal sangue ritmico che scorre dappertutto. Ci fumo sopra e tento pensare ad altro, ma sorrido stimolato dal segreto.

16 dicembre.

Sia caso, non sia, spiegando il mio modo ho lasciato da parte l’immagine-racconto. Parlo di una situazione suggestiva: di nuclei, di sangue, di complessi ritmici. E dico che ogni nucleo è un’immagine nel racconto.

Di qui si vede chiaro che l’immagine-racconto non è stato altro che un tentativo di interpretazione tecnica della mia poesia; probabilmente un traslato esso stesso; comunque, non certo un programma attuale. Che le varie immagini, che «si scambiano e s’illuminano», siano il progressus di ciascuna poesia è uno stato di fatto, e lascia intentata la questione se la poesia sia racconto di immagini o non piuttosto gioco di immagini asservite a un nucleo primitivo d’importanza etica e ritmica. Non ci sarebbe piuttosto da svolgere una ricerca sulla sentenziosità (etica e ritmo) di queste poesie? È un fatto che piú sovente una mia pagina balza di immagine in immagine, si ubriaca di mugolio ritmico, gioca, per concludere poi (non importa se al fondo materiale) in una sentenza, in un proverbio che getta luce sul tutto. Se i gangli della composizione fossero i sayings e non i miti; per esempio, se nell’ultimo Paesaggio il punto non fosse sui cavalli o sullo scappato di casa, ma sul verso conclusivo?

Aggiungo che una delle mie poesie piú meramente immaginate - Grappa a settembre — finisce appunto con la massima che unifica tutte le immagini: «cosí le donne non saranno le sole a godere il mattino».

Che sinora mi sia sottilmente sbagliato?

18 dicembre.

Ma allora, se il punto delle mie poesie sta nella sentenza, variamente espressa o dissimulata, molte cose che teoricamente ricercavo, le avevo già ottenute. Il che, tra l’altro, dev’essere inequivocabilmente vero, se è vero che ho già composto qualche poesia che