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9 settembre.

Vedo la scena. Lei che sfugge sempre, volubile, alla compagnia; si alza da tavola, interrompe colloqui, va al telefono, ecc., e a chi le rimostra i suoi doveri, risponde: «Colpa tua che non sai interessarmi e farmi stare seduta».

Una simile risposta presuppone inasprimento interiore di adolescenza, perché sottintende che le cose sarebbero potute andar diverso se il compagno fosse stato diverso. Equivoco che si prende da adolescenti ma non dopo, quando si è capito che qualunque cosa succeda è colpa nostra.

12 settembre.

La vita pratica si svolge nel presente, la contemplativa nel passato. Azione e memoria.

21 settembre.

Certe azioni banali o indifferenti che mi toglierebbero da un disagio effettivo — ricoprire il letto quando la mattina resto in casa; spendere molto per far festa a qualcuno che se lo aspetta; lavarmi con molto sapone, ecc.; mi dànno un orrore istintivo, e per commetterle — quando arrivo a pensarle — devo fare uno sforzo grande. Questa è la traccia di un allevamento inflitto con durezza su un’indole di per sé sensibilissima e timida. È il resto dei terrori di tanta mia infanzia. E pensare che i miei non erano cattivi né eccessivi. Ma allora, i veramente maltrattati, come sono ridotti?

Per me è bizzarro e sempre uno stupore, l’accorgermi a un tratto che certe cose le posso fare tranquillamente, che nessuno me le vieta o grudges, che non è proibito godere un gesto invece di compierlo seccamente. Ecco spiegata la mia capacità poetica: da uno stato di indurimento sperimentare la voluttà di fondersi, di ammollirsi — voluttà che durerà a lungo, finché non avrò volatilizzato tutto lo scoglio della mia infanzia.

(Pensieri dovuti a una parola gentile del Gôgnin)