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da compiere. E una morte li attendeva, per la passione di qualcuno. Nessuno fu signore di sé né conobbe mai altro.

meleagro   Una madre... nessuno conosce la mia. Nessuno sa cosa significhi saper la propria vita in mano a lei e sentirsi bruciare, e quegli occhi che fissano il fuoco. Perché, il giorno che nacqui, strappò il tizzone dalla fiamma e non lasciò che incenerissi? E dovevo crescere, diventare quel Meleagro, piangere, giocare, andare a caccia, veder l’inverno, veder le stagioni, essere uomo — ma saper l’altra cosa, portare nel cuore quel peso, spiarle in viso la mia sorte quotidiana. Qui è la pena. Non è nulla un nemico.

ermete   Siete stranezze, voi mortali. Vi stupite di ciò che sapete. Che un nemico non pesi, è evidente. Cosí come ognuno ha una madre. E perché dunque è inaccettabile saper la propria vita in mano a lei?

meleagro   Noi cacciatori, Ermete, abbiamo un patto. Quando saliamo la montagna ci aiutiamo a vicenda — ciascuno ha in pugno la vita dell’altro, ma non si tradisce il compagno.

ermete   O sciocco, non si tradisce che il compagno... Ma non è questo. Sempre la vostra vita è nel tizzone, e la madre vi ha strappati dal fuoco, e voi vivete mezzo riarsi. E la passione che vi finisce è ancora quella della madre. Che altro siete se non carne e sangue suoi?

meleagro   Ermete, bisogna aver visto i suoi occhi. Bisogna averli visti dall’infanzia, e saputi familiari e sentiti fissi su ogni tuo passo e gesto, per giorni, per anni, e sapere che invecchiano, che muoiono, e soffrirci, farsene pena, temere di offenderli. Allora sí, è inaccettabile che fissino il fuoco vedendo il tizzone.

ermete   Sai anche questo e ti stupisci, Meleagro? Ma che invecchino e muoiano vuol dire che tu intanto ti sei fatto