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192 | dialoghi con leucò |
plice nome raccontavano la nuvola, il bosco, i destini. Videro certo quello che noi sappiamo appena. Non avevano né tempo né gusto per perdersi in sogni. Videro cose tremende, incredibili, e nemmeno stupivano. Si sapeva cos’era. Se mentirono quelli, anche tu allora, quando dici «è mattino» o «vuol piovere», hai perduto la testa.
— Dissero nomi, questo sì. Tanto che a volte mi domando se furono prima le cose o quei nomi.
— Furono insieme, credi a me. E fu qui, in questi paesi incolti e soli. C’è da stupirsi che venissero quassú? Che altro potevano cercarci quella gente se non l’incontro con gli dèi?
— Chi può dire perché si fermarono qui? Ma in ogni luogo abbandonato resta un vuoto, un’attesa.
— Nient’altro è possibile pensare quassú. Questi luoghi hanno nomi per sempre. Non rimane che l’erba sotto il cielo, eppure l’alito del vento dà nel ricordo piú fragore di una bufera dentro il bosco. Non c’è vuoto né attesa. Quel che è stato, è per sempre.
— Ma son morti e sepolti. Adesso i luoghi sono come erano prima di loro. Voglio concederti che quello che hanno detto fosse vero. Che cos’altro rimane? Ammetterai che sul sentiero non s’incontrano piú dèi. Quando dico «è mattino » o «vuol piovere», non parlo di loro.
— Questa notte ne abbiamo parlato. Ieri parlavi dell’estate, e della voglia che ti senti di respirare l’aria tiepida la sera. Altre volte discorri dell’uomo, della gente che è stata con te, dei tuoi gusti passati, d’incontri inattesi. Tutte cose che furono un tempo. Io, ti assicuro, ti ho ascoltato come riascolto dentro me quei nomi antichi. Quando racconti quel che sai, non ti rispondo «cosa resta?» o se furono prima le parole o le cose. Vivo con te e mi sento vivo.
— Non è facile vivere come se quello che accadeva in altri tempi fosse vero. Quando ieri ci ha preso la nebbia sugli