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142 in famiglia



polideute   Ma sei folle.

castore   Non c’è niente di folle. Se i Pelopidi han persa la testa — e qualcuno anche il collo — ci pensino loro. Sono stirpe di re marini che non escon di casa e amano comandare dalle alture. Forse un giorno hanno veduto il mondo. Tantalo, il primo, certo. Ma poi vissero chiusi con le donne e i mucchi d’oro, sospettosi e scontenti, incapaci di un gesto valido, nutriti dal mare su una povera terra, banchettatori, grassi. Ti stupisce che cercassero qualcosa di forte, di quasi selvaggio, da rinchiudere sul monte con sé? L’han sempre trovato.

polideute   Non capisco cosa c’entri la nostra sorella né perché dici ch’era fatta per Paride e Teseo.

castore   Per loro o per altri, Poli, non importa. È del destino degli Atridi che si parla. Né l’antica Ippodamia né le nuore hanno colpa se tutte queste si somigliano come una torma di cavalle. Si direbbe che nei tempi in quella famiglia lo stesso uomo ha ricercato sempre la stessa creatura. E l’ha trovata. Da Ippodamia di Enomào alle nostre sorelle tutte quante sono state costrette a lottare e difendersi. È evidente che questo ai Pelopidi piace. Non lo sapranno ma gli piace. Sono gente d’astuzia e di sangue. Sono grassi tiranni. Hanno bisogno di una donna che li frusti.

polideute   Dici sempre Ippodamia Ippodamia. Lo so anch’io che Ippodamia agitava i cavalli. Ma le nostre sorelle non c’entrano. La mano d’Elena è una mano di bambina che non ha mai stretto la sferza. Come può somigliarle?

castore   Noi delle donne, Polideute, non sappiamo gran cosa. Siamo cresciuti su con lei. Ci pare sempre la bambina che giocava alla palla. Ma per sentirsi selvagge e smaniose non è necessario agitare cavalli. Basta piacere a un Menelao, a un re del mare.