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122 | il lago |
diana Ragazzo che sei. Un paese dove l’uomo non era mai stato, sarà sempre una terra dei morti. Dal tuo mare e dalle isole ne verranno degli altri, e crederanno di varcare l’Ade. E ci sono altre terre piú remote...
virbio Altri laghi, altri mattini come questi. L’acqua è piú azzurra delle prúgnole tra il verde. Mi par di essere un’ombra tra le ombre degli alberi. Piú mi scaldo a questo sole e mi nutro a questa terra, piú mi pare di sciogliermi in stille e brusii, nella voce del lago, nei ringhi del bosco. C’è qualcosa di remoto dietro ai tronchi, nei sassi, nel mio stesso sudore.
diana Queste sono le smanie di quand’eri ragazzo.
virbio Non sonò piú un ragazzo. Conosco te e vengo dall’Ade. La mia terra è lontana come le nuvole lassú. Ecco, passo fra i tronchi e le cose come fossi una nuvola.
diana Tu sei felice, Ippolito. Se all’uomo è dato esser felice, tu lo sei.
virbio È felice il ragazzo che fui, quello che è morto. Tu l’hai salvato, e ti ringrazio. Ma il rinato, il tuo servo, il fuggiasco che guarda la quercia e i tuoi boschi, quello non è felice, perché nemmeno sa se esiste. Chi gli risponde? chi gli parla? l’oggi aggiunge qualcosa al suo ieri?
diana Dunque, Virbio, è tutto qui? Vuoi compagnia?
virbio Tu lo sai ciò che voglio.
diana I mortali finiscono sempre per chiedere questo. Ma che avete nel sangue?
virbio Tu chiedi a me che cosa è il sangue?
diana C’è un divino sapore nel sangue versato. Quante volte ti ho visto rovesciare il capriolo o la lupa, e tagliargli la gola e tuffarci le mani. Mi piacevi per questo. Ma l’altro sangue, il sangue vostro, quel che vi gonfia le vene e accende gli occhi, non lo conosco cosí bene. So che è per voi vita e destino.