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26 | parte prima |
Ed eccoci alla resistenza ad ogni costo!
Ma già da una ventina di giorni dopo la risposta del Manin, erano cominciate a mancare le carni, il vino, il pane. Le botteghe dei fornai erano assediate da mane a sera da una folla di donne e di uomini, per averne un tozzo solo, e anche questo composto di cattiva segala, e, più avanti, nero come il cioccolatte. Bloccate le botteghe dei biadaroli dalle donne per riuscire ad avere una manata di farina gialla; la metà di queste tornavano a mani vuote, impedite dalle violenze dei più forti. Ogni giorno, ogni ora, può dirsi ogni minuto, Venezia, la grande malata, si avvicinava all’agonia. Il blocco oramai minacciava di condurla agli estremi. Non più grano; fermi i mulini.... il morbo, la fame, s’incaricavano della estrema unzione! Eppure essa sopportava ancora le ultime strette, sostenuta dal pensiero della patria.
Pur troppo, però, il malcontento, suggestionato dai nemici interni e dalla disperazione, cominciava a rivelarsi non soltanto a parole ma, ahimè! altresì a fatti. Alcuni manifesti del Governo, e dell’Annona, venivano lacerati, e i nomi dei sottoscritti imbrattati di sudiciume. Gli spedali rigurgitavano di ammalati e di feriti. E, intanto, il piazzale del ponte sulla laguna era bersagliato dalle palle e dalle bombe austriache. Saltavano in aria le polveriere lasciando per le terre morti e feriti, Un globo incendiario, fra gli altri, senza un provvidenziale vento impetuoso, sarebbe caduto fino in piazza S. Marco, con quale danno ognuno può figurarlo!
Dalla bocca degli affamati usciva ormai, per quanto timido, il grido di capitolazione!