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384 | parte seconda |
di feste rimaste celebri, nella Villa Reale — antica dimora di Eugenio Beauharnais Vicerè d’Italia.
Insieme col conte di Parigi, era pure S. A. R. Roberto d’Orleans duca di Chartres; ed entrambi presero viva parte a tutte le feste della società milanese, non che a quelle del popolo, come se si trattasse di feste del loro stesso paese.
Perocchè il duca di Chartres, più giovane di due anni del fratello, aveva smesso soltanto in quei giorni l’uniforme di Nizza Cavalleria, nel qual reggimento aveva servito col grado di luogotenente, prima e durante la campagna del 1859; serbando, anche dopo lasciato il servizio, viva e cara memoria dei suoi camerata, in particolare; ma in generale di tutti gli ufficiali di cavalleria che in quel tempo aveva conosciuti.
Gli è in tale qualità che noi pure venimmo onorati dalle cortesie di quei due principi, diretti discendenti da Filippo d’Anjou, fratello di Luigi XIV — il Re Soleil.
Essi abitavano alcune stanze al primo piano dell’Hótel de la Ville che guardano sul Corso, e che stanno di contro al cupolone della chiesa di S. Marco.
Durante le giornate di quel carnevalone, quasi giornalmente invitati, sedevamo alla loro tavola; ed era la stessa mano del conte di Parigi, che con semplicità patriarcale, ci versava dalla bottiglia, nel calicino di vetro, lo squisito prodotto di quelle terre di Bordeaux... che avrebbero dovuto essere — per diritto divino — dominio della sua Casa e suo.
Pochi — per fortuna loro di noi meno vecchi — ricorderanno il carnevalone ambrosiano del 1863, celebre non solamente per le brillanti feste della Villa Reale, di casa Melzi e Beretta, della Società del Giardino, del Circolo degli artisti, e via dicendo; ma più specialmente famose, per quegli ultimi giorni di baldoria, regalati alla paneropoli lombarda da quel grande scismatico ch’era Sant’Ambrogio.
Correvano allora tempi felici, dove la musoneria non era ancora venuta di moda. Quando la luna di miele di una recente libertà, sospirata e acquistata col sangue, non era ancora contaminata da nessun veleno. Quando tutto rispondeva a una verginità di sentimenti, non ancora polluta dall’amplesso delle sétte.
A quei tempi, anche i principi del sangue potevano pigliarsi il matto