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dieci anni dopo | 371 |
amministrata da un partito che si diceva rivoluzionario. E, sovratutto, lo prova l’atteggiamento, quella specie di tacita acquiescenza, con cui, quasi tutto quel giornalismo milanese, che si chiama forcaiolo, aveva assunto davanti alla nomina del suo primo magistrato cittadino a senatore del Regno.
Un torto solo, secondo noi, ebbe Rudinì: quello di non avere afferrato al volo, senza preoccuparsi dei timidi amici, senza titubanze, la mano che gli stendeva, nel 1895, Felice Cavallotti. E poi, il torto di non avere saputo subito approfittare della forza e dell’influenza che, sulla piazza e sul suo partito, poteva esercitare la cooperazione di lui.
Se Rudinì, in quel momento, non si fosse fermato a metà, se tratta, come suol dirsi, la spada avesse gittata la guaina, certamente il mondo politico non sarebbe stato sorpreso dalia famosa lettera giustificativa diretta a Napoleone Colajanni. Certamente si sarebbero scongiurate le dolorose giornate del maggio 1898... e — ciò che più ferì il cuore degli amici e degli avversari — si sarebbe certamente evitata la tragedia di Villa Cellere, la morte di Felice Cavallotti... nonchè il dolore dello stesso suo uccisore, al quale, nello stadio acuto, si negò persino il diritto naturale di difendere sul terreno la propria vita!
Quanti mali si sarebbero potuti allora evitare!
Ma, pur troppo, la sconfitta del gabinetto Rudinì, favorita in quel frangente dalla cecità dei suoi stessi amici, avvenne nel momento più inopportuno e più pericoloso. Avvenne nel momento che, costretto suo malgrado a ricorrere alle armi per sedare la piazza, aveva fatto sentire energica la mano del governo. Onde, esempio nuovissimo di coerenza politica, cadde per opera di coloro che, a fil di logica, avrebbero dovuto, non soltanto dividerne le responsabilità, ma lealmente appoggiarlo...
Lo si volle morto, non per quello che, secondo loro, aveva fatto di bene, ma per quello che prima — sempre secondo loro — aveva fatto di male.
Troppo tardi gli si rese giustizia, troppo tardi si disse, e si sostenne, ch’egli allora intuiva il vero... che aveva ragione... Ma — è vecchio il proverbio: — del senno di poi sono piene le fosse!
Che la caduta di Rudinì fosse prevista di lunga mano, lo proverebbe un piccolo indizio, che aveva in quel momento una certa quale significazione. Un giorno che alla tavola reale del Chievo, si parlava della venuta prossima del Presidente del Consiglio, trovandoci noi vicini a un pesce di quelli grossi, s’ebbe a mostrargli un certo dispiacere per non poter offrire anche al nostro vecchio e illustre amico una camera, e un letto. Il pesce grosso, con un certo fare che voleva essere furbo, e urtandoci col gomito, borbottò fra’ denti:
— Meglio così!...