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370 parte seconda

nella Camera una maggioranza forte di trecento voti, sulla quale spadroneggiava come un gran cancelliere.

A Rudinì non si perdonava: dai rossi, le sue origini conservatrici; non si perdonava, dai timidi... la Sala rossa, e l’amicizia di Cavallotti.

Intorno a cotesta famosa amicizia, potremmo anche noi dire qualche cosa... molte cose; se non si temesse di entrare in una polemica intempestiva, la quale oggi non caverebbe, un ragno dal muro. Però, senza credere di mancare ai riguardi che si devono a vivi e a morti, ci sarà permesso di affermare che cotesta amicizia — tanto allora sospetta — onorava altamente così colui che l’offriva, come colui che l’accettava.

E quale portata essa avesse, sta qui a provarlo il brano di una lettera che Felice Cavallotti ci scriveva da Dagnente, il 23 febbraio 1895, nell’occasione che il marchese Di Rudinì si trovava ospite a Milano in casa nostra. Ecco quanto allora l’autore dei Pezzenti ci scriveva:

“Quando riceverai la presente, forse il marchese Di Rudinì sarà in Milano. Egli potrà dirti il perchè a te mi volgo per fargli pervenire, al giungere nella mia città natale, il mio schietto e cordiale saluto. Egli sa, e tu lo sai, che è un saluto non di convenzione, ma dettato da stima vivissima a dalla simpatia più affettuosa„.

E più avanti, alludendo alla lotta amministrativa milanese fra i nostri amici e i suoi — lotta alla quale egli non volle partecipare — soggiungeva:

“Mi duole, non per me, ma per alti interessi italiani, che stanno al di sopra delle misere divisioni di parte — e tu sai s’io viva fuori e lontano dalle lotte municipali milanesi — che l’ultima battaglia amministrativa, costì, possa aver creato equivoci per la lotta politica. Confido per iscongiurarli, nel patriottismo di chi crede superiore agli interessi di parte il rispetto a certi dogmi morali. E il marchese di Rudinì ne dà agli amici tuoi un alto esempio. Nè la lode, venendo da me, ti può parere interessata e sospetta„.

Felice Cavallotti, così di sua iniziativa scriveva, proprio in quei giorni che la maggioranza dei nostri amici politici gratificavano il marchese di Rudinì, e i suoi pochi e fidi seguaci, col diploma di traditori!

E che lotte, e che discussioni... e quante corbellerie in quei giorni!

Eppure, se vi fu uomo politico che avesse avuta, da tempo, la visione chiara, limpida, di ciò che si andava maturando nel vicino avvenire, quell’uomo fu per l’appunto il marchese di Rudinì.

Prova eloquente ch’egli allora vedeva giusto, sono gli avvenimenti del primo e triste anno del secolo che s’è spento. Sono le accoglienze entusiastiche, spontanee, colle quali fu accolta e salutata, da ogni classe di cittadini, la venuta del giovane Re nella capitale Lombarda — per quanto