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368 | parte seconda |
— “Da questi campi, palestra d’atti eroici per tutti, ma dove la fortuna sorrise alle armi nostre, manda il Re d’Italia un saluto a quei prodi, italiani e stranieri, che qui sono morti, ciascuno per l’onore della propria bandiera!...„ —
E nel pensarlo, il sangue mi bolliva come nei più bei giorni del 1859....
Ogni cuore aspettava, e sperava...
Speranza vana!... Spumano i calici... ma il labbro del Sovrano non si schiude... Ma i ministri sono muti come pesci!
A me parve un delitto.
Eppure, sarei pronto a mettere la testa nel fuoco... S. M. il Re avrebbe parlato!
VIII.
Re Umberto, prima e dopo colazione e prima del pranzo, aveva l’abitudine di fermarsi, sempre ritto sui due piedi, all’uscita dell’atrio che risponde in corte, e trattenersi lunghe ore in colloquio col ministro della Guerra generale Luigi Pelloux; il quale cominciava allora a mettere, come chi dicesse, i pali a fondo per l’edificio della sua presidenza al Consiglio dei Ministri. — Ciò che avvenne poi.
Perocchè, in quel momento, la stella di Rudinì andava impallidendo. La nomina del povero Bonfandini a Governatore dell’Eritrea — nomina fatta e disfatta con fulminea rapidità — e un po’ anche l’assunzione del povero Codronchi alla Pubblica Istruzione, avevano sollevato contro l’eroico sindaco di Palermo, un certo vento di libeccio, che non lasciava prevedere nulla di buono...
Bisogna notare che il marchese Di Rudinì, a Corte, non aveva che pochi amici. La morte del conte Visone gli avrebbe offerto forse l’occasione di nominare — come avrebbe tentato Crispi — un ministro politico di sua fiducia presso la persona del Re; ma lui, anima troppo superiore di fatalista, non pensò mai all’opportunità di coprire quel vuoto anche per evitare una noia a S. M., che non amava vedersi intorno visi nuovi.
Rudinì, a chi ripetutamente gli consigliava tale nomina, rispondeva, a propria scusa, che non si sentiva abbastanza forte per imporsi alla Corona...
E, fra una stretta di spalle e l’altra, non ne fece mai nulla.