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dieci anni dopo 367

Prima di sedere a tavola, combinatomi a caso discorrere coi due rappresentanti militari dell’Austria e della Francia, che avevo conosciuti a Roma, uno di loro mi chiese:

— Credete che S. M. il Re, oppure il ministro della Guerra parleranno?

Era, si capisce, una domanda suggestiva, per mettersi in grado e l’uno e l’altro, di rispondere al brindisi. E, a vero dire, nel fondo del cuore avrei proprio creduto che così avvenisse. A buoni conti, chiesi io pure alla mia volta:

— Se S. M. parla, intendete rispondere?

— Eh!... di certo — disse il francese.

— Eh!... sicuramente — soggiunse l’austriaco.

— Ebbene — conclusi io — non so quello che il Re intenda di fare; ma questo posso dirvi di positivo, che se fossi io Presidente del Consiglio o ministro della Guerra, esorterei S. M. a parlare... e il Re parlerebbe!

 
Stefano Breda.

Con tale fiducia, divisa da tutti i presenti, ci sedemmo alle tavole, simmetricamente disposte sotto un immenso padiglione, disteso per quanto era lungo e largo il prato che circonda la Torre.

La tavola reale dominava la scena. Il quadro era stupendo.

L’aria, l’ora, il moto, ci avevano disposto lo stomaco. Si mangiò di buon appetito, non cessando di portare alle stelle i nomi del senatore Breda presidente, del Maluta vice presidente e del bravo segretario Legnazzi — anima questi della istituzione — morto da qualche tempo, ma sempre lagrimato e rimpianto.

Durante il banchetto io pensavo fra me stesso:

— Che bell’occasione questa per improvvisare due parole da fare scattare in piedi tutto questo bel mondo di spalline!... Dire, per esempio, che qui amici e nemici, valorosamente combattenti, confusero insieme il loro sangue... affratellati nella morte!... Che amici e nemici, hanno qui i loro resti, collo stesso amore e la stessa cura custoditi... E conchiudere: