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dieci anni dopo 333

risulta dalla unita nota dei posti e dei presenti — nota che ci permettiamo di pubblicare tal quale era ordinata e scritta sotto la direzione dal Gran Mastro delle Cerimonie conte Cesare Gianotti.

La dimane, verso le sei, con un tempaccio perfido, S. M. saliva in treno al cancello nord; e alle sei e cinquantanove minuti era giunto a Villafranca.

Tralascio di descrivere le accoglienze entusiastiche che Sindaco e autorità locali, e popolo, fecero, al suo scendere dal treno, a colui che nel 1866 — più di trent’anni prima ― ivi riceveva il battesimo del fuoco, eroicamente impavido in mezzo allo storico quadrato.

Pioveva a dirotto, ma nessuno se ne dava pensiero, tutti occupati solamente del Re; il quale dopo breve colloquio e molte strette di mano, salì a cavallo, e messosi al trotto, si recò direttamente sul colle di Custoza.

Lo attendeva Don Pivatelli: quel sacerdote patriotta cui in gran parte l’Ossario è dovuto, morto anch’esso da poco tempo e decorato dalla Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, di cui il bel nastro verde sfidava impavido, anch’esso, i dispetti della pioggia irriverente.

Appena giunti sul colle, un brigadiere dei Corazzieri Reali andò a piantare in terra, come segno della presenza del Sovrano, lo stendardo di Casa Savoia.

Tale segno della reale presenza veniva dal Re usato per la prima volta in quell’occasione; ed ha la sua storia. Eccola.

Quando Umberto fu alle grandi manovre di Germania ad Omburgo, vide che i corazzieri di Guglielmo portavano un piccolo stendardo con l’acquila imperiale; era affidato a un graduato che seguiva costantemente l’imperatore; lo stendardo veniva piantato come segno della presenza del Sovrano, dovunque egli si fermasse.

Umberto volle imitare l’esempio del suo alleato, e da Omburgo fece telegrafare a Roma, ordinando che lo stendardo dei Savoia venisse subito preparato.

Il desiderio del Re fu soddisfatto; lo stendardo arrivò al Chievo portato dal capitano dei corazzieri.