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330 parte seconda

anche lui, di una di quelle illustri famiglie piemontesi che diedero alla patria e al Re ingegno e sangue.

Della Casa civile, veniva in prima linea il conte Cesare Gianotti, prode soldato, ora prefetto di palazzo e Gran Maestro delle Cerimonie; poi il marchese Borea d’Olmo e il pacifico conte Premoli; poi il Grande Scudiere Piero Corsini. Mancava il Grande Cacciatore, conte Giulio Carminati di Brambilla, il fido amico e confidente di S. M., perchè qui egli non aveva occasione di regalare — ciò che faceva con tanta grazia — nè fagiani, nè stambecchi, e nemmeno... cinghiali, a nessun sindaco d’Italia.

Erano pure ospiti di S. M., il ministro della Guerra Pelloux e il tenente generale Saletta, che occupava il posto dell’altro illustre morto, generale garibaldino, Cosenz.


Detto ciò, torniamo nel paesello di Chievo che volle anche questa volta, come dieci anni prima, farsi onore.

Il manifesto municipale, se parlava anche oggi delle ristrettezze comunali e della impossibilità perciò di fare cose grandi, diceva tuttavia che il popolo vi avrebbe supplito colle larghezze del cuore; larghezze che più delle altre sarebbero state gradite da S. M. il Re.

Però le ristrettezze del bilancio non impedirono la comparsa dei cartellini tricolore; non impedirono ai più modesti balconi, alle più umili finestrine, di vestirsi da festa; e meno ancora, impedirono che sul campanile della Chiesa, così come nel 1887 — una a sud e l’altra a nord — sventolassero, un po’ sbiadite dagli anni, ma sempre care, le due note bandiere. Quelle due bandiere che furono causa allora di dispiaceri pel buon Simone Peruzzi, e di grande lotta intestina per l’ottimo Don Antonio Cometto, parroco del Chievo, sempre vivo e verde, per fortuna del paese e sua.

Martedì 14, S. M. doveva arrivare verso le sette; ma al Chievo s’era già raccolta una massa di gente molte ore prima. Lungo il binario della ferrovia che corre davanti al cancello del giardino, in luogo dei fiori distrutti dalla bufera, si muoveva una decorazione di enti umani: contadini, operai, artisti, braccianti, villeggianti maschi e femmine, ivi convenuti da vicino e da lontano, col cuore in palpiti e le labbra pronte a dare sfogo all’entusiasmo internamente compresso.

Ci sono, manco dirlo, le solite bande musicali; e là, sulla soglia del cancello spalancato, tutto ciò che il Comune vanta di autorità civili.... ed ecclesiastiche. Perchè il buon parroco, cui pesa ancora sul cuore il rifiuto al pranzo reale di dieci anni prima, vuole che il Sovrano sappia, che lui è sempre quello dalle due bandiere... E veste per la circostanza una tunica nuova fiammante, ch’è di tibet, ma pare di seta.