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re umberto al chievo | 321 |
Scesa S. M., ecco venirle incontro, sui gradini di entrata, il giovane commendatore Rattazzi. Questi, con aria molto afflitta, gli presenta senza parlare un telegramma.
Il telegramma era aperto. S. M. lo afferrò, vi buttò su gli occhi e lesse. Cincischiò la carta fra le mani, poi volgendosi verso di noi, che guardavamo ansiosi, disse solamente, e un po’ nervosamente:
— È morto!
Dopo di che, fatto un cenno al ministro Bertolè e al primo aiutante di campo, si ritirò nel suo appartamento, ove diede loro gli ordini per la partenza della mattina appresso.
— Tutto il male non viene per nuocere!.. — Avrebbe potuto dire il generale Fasi, che stavolta aveva, almeno, il tempo necessario a predisporre... le sue intime faccende di tolètta.
Senza la morte del Depretis, è certo che S. M. il Re si sarebbe indotto a fermarsi un altro giorno a Verona; anche per contentare il bravo generale Pianell, il quale, il dì prima, in causa del mal tempo, non era riuscito a condurlo a visitare una sua creazione favorita: il forte S. Briccio, recentemente costrutto. Un forte di sbarramento molto da alcuni combattuto, ma in cui egli aveva messo tutto l’affetto di un innamorato.
Qui chiedo venia al lettore se sono costretto di narrare cosa che direttamente mi riguarda.
La mattina della partenza, mentre laggiù alla fermata provvisoria, il treno aspettava sbuffando, il generale conte Lanza mi venne incontro, dicendomi che S. M. mi voleva nel suo appartamento.
Confesso che quella chiamata, lusinghiera da un lato, immaginatane la cagione, mi turbò fortemente e mi scombussolò tutto quanto.