Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
302 | parte seconda |
e che, levato alla mattina per tempo, affidava, come prima cosa, la reale sua testa e il mento, al pettine e al rasojo di quel Luigi Branca che lo seguì dappertutto nell’Alta Italia... e che avrebbe fatto, in ben altro modo, la barba al suo assassino!
IV.
Ma eccoci all’alba del 27 di luglio.
Il paesello di Chievo è tutto in festa. I tre colori sventolano allegramente da ogni casa, da ogni casolare. Non c’è famiglia, anche delle più modeste, che non abbia pavesato le finestre con ogni sorta di tessuti a colori... e senza colori.
Sul campanile del Chievo, come se una non bastasse, svolazzano al vento due belle bandiere nuove fiammanti, collo stemma di Casa Savoja. E quel buon parroco Don Antonio Cometto, predicando in chiesa ai terrazzani della venuta del Sovrano, raccomandava — vedi cara semplicità del cuore! — agli uomini, di levarsi il cappello al suo passaggio; e alle donne di gridare evviva, e sventolare i fazzoletti.
Fino alle 3 e mezzo, le vie del Chievo sono affollate di gente accorsa dalla vicina città, e dai dintorni. Da ogni parte un continuo succedersi di carrozze...
Nella villa? la febbre dell’attesa.
Carabinieri a piedi e a cavallo fanno il servizio di guide; portano ordini, mantengono libera la circolazione anche lungo i viali interni del giardino.
Alle quattro e tre quarti arrivano il ministro della guerra Bertolè-Viale, accompagnato dal generale Pianell. Insieme con essi è pure il biondo generale Fiorenzo Bava Beccaris, un eroe