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12 | parte prima |
in S. Pietro, per prepararsi a piangere più tardi nel suo rifugio di Gaeta!
Parve allora — ed era, pur troppo! — una defezione. Si gridò all’inganno, al tradimento. Le benedizioni dei popoli si cambiarono, lì per lì, in invettive, in vituperi; gl’inni dei poeti, in satire atroci!
Ma chi potè leggere, in quei giorni, nel fondo al cuore di Mastai Ferretti? Chi potè vederne e contarne le lacrime?... Chi? chi mai, nel momento dell’ira, potè sceverare, con sereno giudizio, la causa, la portata dell’angosciosa diserzione?
Lagrime di coccodrillo, si dissero allora; ma che fossero lagrime sincere di un’anima italiana, lo proverebbe, invece, la stupenda lettera che nel Giugno del 1848 stesso, Pio IX dirigeva a Ferdinando I, esortandolo a cessare dalle armi e riconoscere la nazionalità italiana; fare colla novella Italia degli italiani, la pace!
È un documento, ignorato dai più, sperduto in quei giorni di rivoluzione, che indarno il Gabinetto di Vienna avrebbe desiderato apocrifo, e che noi troviamo stampato in un Supplemento al Foglio di Verona — foglio ufficiale dell’Impero, redatto da F. G. Crivelli — colla data di martedì 20 giugno 1848. Mentre, cioè, a Venezia s’era da circa quattro mesi proclamata la repubblica; e, a Trieste, il contrammiraglio Albini, comandante la flotta sarda, sosteneva il blocco della città, in onta alla protesta collettiva di tutti i Consoli delle potenze estere ivi residenti; e mentre tutte le contrade d’Italia erano in fiamme.
Il lettore giudichi se l’importanza del documento, e la spinta del cuore onde usciva, possano attenuare e mettere sotto nuova luce la memoria del sommo Pontefice. Noi lo riproduciamo nella sua integrità, come il foglio austriaco ce lo porge.
Missiva di Pio IX all’Imperatore d’Austria.
“Costumò sempre la Santa Sede, in mezzo le guerre che abbeverarono di sangue la terra cristiana, parlare parole di pace; e mentre già noi, nella nostra allocuzione del 20 aprile decorso, protestavamo che ripugnava al nostro cuore paterno il dichiarare la guerra, avevamo espressamente esternato il nostro più vivo desiderio di contribuire alcun poco alla pace. Non fia dunque certo discaro alla Maestà Vostra, se noi ci rivolgiamo alla pietà e coscienziosità della Medesima, con affetto paterno, esortandola ad astenersi da una guerra che, senza riguadagnare gli animi dei Lombardi e dei Veneziani dell’Impero, trarrebbe seco una lunga serie di calamità, dalle quali certo la Maestà Vostra abborrisce del pari che le disapprova. Nè sarà pure disaggradevole alla generosa Nazione tedesca, se Noi la invitiamo a smettere ogni odio, e con utili rapporti di vicinanza