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eroismo e sacrificio 275

dove avrebbero trovato riposo le sue povere ossa; dove raccolto il bel corpo gentile. Vivere, collo spavento in cuore che questo, confuso fra mille morti, potesse essere finito pasto alle jene, o preda delle belve umane....

Oh! questo, questo sì, che fu spasimo cui il pensiero non giunge! Spasimo che non ebbe tregua, se non quando, un anno dopo, il pietoso colonnello Ripamonti diresse al padre la seguente lettera:


COMANDO

del Corpo di Stato Maggiore.


Roma, 6 luglio 1897.


Carissimo Don Giovanni,

Ho ricevuto stamane la sua graditissima, e dieci minuti dopo parlavo col generale Albertone, Ella può immaginare con quanta commozione, ricordando i tristi particolari di quel triste periodo.

Il generale Albertone La ringrazia del desiderio da Lei espresso di volerne fare la personale conoscenza. Mi incarica, di riverire caldamente Lei e tutta la famiglia, e di significarle che, quando avesse l’opportunità, non mancherebbe di venirla a cercare e porsi a sua disposizione per tutte quelle informazioni, particolari e schiarimenti, che a Lei interessasse di avere e conoscere. Il generale sta ultimando la relazione sulla battaglia di Abba-Carima; relazione che certamente a suo tempo verrà di pubblica ragione. Da detta relazione, che egli mi lasciò stamane per qualche momento, stralciai, naturalmente col di lui consenso, i brani che qui Le trascivo:

“.... Il combattimento si faceva sempre più accanito, ed il fuoco, specialmente da parte nostra, s’era fatto intensissimo, troppo a mio giudizio. Io personalmente, ed a mezzo degli ufficiali, addetti al Comando della Brigata, facevo ripetuti tentativi, anche a colpi di sciabola, per otnere che fosse rallentato il fuoco, senza troppo riuscirvi: il tenente Frigerio portandosi avanti ad una centuria e minacciando con la rivoltella, ottenne però che almeno ivi rallentasse il fuoco.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Mi trovavo allora presso le batterie indigene e vedevo cadere, a me accosto, il tenente Frigerio mio ufficiale d’ordinanza, alcuni serventi delle batterie ed alcuni ascari della mia scorta. Appena caduto, il tenente Frigerio corse col pensiero alla madre lontana ed esclamava dolorosamente: “povera madre mia!„ — ma subito dopo, sollevandosi alquanto da terra, gridava con occhi sfavillanti “Viva il Re, viva l’Italia, avanti ascari, la vittoria è nostra.

Da quanto ebbe a ripetermi il Generale, il povero Giannino cadde proprio quasi ai suoi piedi, colpito da una palla al fianco sinistro. Il Gene-