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260 | parte prima |
la mancanza di ideali. La gioventù, per sua natura rivoluzionaria, cui vengono a mancare quelli della patria, porge facile orecchio ai sobillatori, e s’industria e crearsene dei nuovi.
La gioventù ama le imprese ardite; e più queste sono difficili a raggiungere, e più da queste rimane attratta. La voluttà del pericolo la seduce; e, esuberante di vita, guarda da vicino la morte come una poesia.
Trascinato dall’argomento, lasciate che io qui dica liberamente il pensier mio. La mia parola non è sospetta. Non sono un rivoluzionario: sono uno dei vecchi impenitenti, fido soldato della patria e del Re; ma penso che forse facciamo male a voler spegnere del tutto nel cuore dei giovani quella specie di spiraglio, quella valvola, dirò così di sfogo, che si chiamava l’irredentismo.
Dobbiamo sorvegliarlo, dominarlo quel tanto che basti per metterci in regola.... colla diplomazia; ma spegnerlo del tutto — torno a ripeterlo — credo proprio che facciamo male.
Forse, quella parte di gioventù traviata, amante del nebuloso e delle cospirazioni, la quale ora che l’Italia è fatta, lavora a disfarla; si sfogherebbe a quando a quando con qualche grido d’irredentismo nelle piazze, ma non emetterebbe quelle grida parricide che le ombre dei nostri martiri, sorgendo dal sepolcro, maledirebbero!