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236 | parte prima |
VI.
Il sergente Canna.
Dedicato così il nostro omaggio agli eroi morti, torniamo al colloquio che S. A. il conte di Torino, ebbe a Verona coll’eroe vivente: il nobile Luigi Rosini.
Era naturale che, trovatosi davanti ad uno dei miracolosi superstiti — diciamo miracolosi, perchè sopravvivere con una decina abbondante di ferite nella testa, e nel corpo, è davvero un miracolo — il giovane principe s’intrattenesse in un colloquio più a lungo che cogli altri, si facesse narrare la storia di quelle ferite, che certamente invidiava; e, in prova della sua ammirazione, gli consegnasse, da parte di S. M. il Re, una nuova Croce.
Per quanto la espressione non abbia niente di peregrino, e sia vecchia come la vanità umana, cotesto era proprio il caso di dire: che non la Croce onorava l’uomo, ma sì bene l’uomo onorava la Croce; e in tanto sterminato sciupio di.... crocifissioni — le quali, se poco possono dare di lustro, sono troppe volte una parodia — vederne una collocata a posto, è cosa che fa veramente piacere.
Ma qui, per finire con una nota allegra questo troppo serio e ormai pesante capitolo, torniamo alla festa dei Cavalleggeri d’Alessandria dalla quale ci siamo dilungati.
Finita la cerimonia, le belle dame e i cavalieri, salutati dal Principe, dissero addio a tanta poesia militare, per obbedire alle esigenze prosaiche dello stomaco; e, chi a piedi, chi in equipaggio, lasciarono il quartiere per andare a colazione.
Le patronesse del Gimkhana, intanto, salutate a una a una da S. A., si preparavano alla festa del domani.... Festa, che il sole — non obbligato ad essere cavaliere — non si degnò di illuminare a lungo!
Quelle gentili dame, però, non vollero abbandonare il terreno senza prima avervi lasciato, come le stelle, la traccia luminosa del loro pas-