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166 parte prima

Dio tenga lontano lo sterminio di una nuova guerra; ma se la salute della patria, o la sua grandezza, ci chiamassero ancora sul campo, ci si accorra almeno colla certezza che i nostri corpi, morti o moribondi, non saranno preda di quelle belve umane, più delle iene colpevoli e immonde.



Un momento prima di trovare il corpo del ferito, la nostra attenzione fu sorpresa da un gruppo di persone, le quali salendo il colle dalla nostra destra, si disegnavano sull’orizzonte come tante ombre notturne. Giunti a pochi passi da noi, che curvi in terra prestavamo le prime cure all’amico, parve che i sopraggiunti si arrestassero come gente curiosa di scoprire ciò che gli altri fanno. Si sarebbe anzi detto che ci scambiassero in quel momento per altrettanti spogliatori dei morti.

Un tintinnìo di sciabole, un scintillio di alcune dorature, ci fecero accorti essere quello un gruppo di ufficiali del nostro esercito, venuti a visitare il campo sul quale avevano caricato.

— Chi va là? Chi siete voi? Che cosa fate? — chiese una voce, che dallo accento forestiero, doveva essere, come di fatto era, la voce del savoiardo Mollard.

Era questi accompagnato dal suo capo di Stato Maggiore Ercole Ricotti, e da molti altri.

— Chi siete voi? — ripetè più forte, e più vicina la voce.

— Volontari di Monferrato.... venuti a cercare i loro compagni caduti... — Monferrato?! — sclamò subito il generale, con espressione di grande simpatia — quale squadrone?.... Quale capitano?....

— Secondo squadrone!.... Capitano Avogadro!.... — rispondemmo noi in coro, e a voce alta, come gente fiera di se medesima.

— Oh, il bravo capitano!.... Oh, il bravo squadrone!.... Continuate le vostre ricerche fraterne.... Domani sarete tutti ricompensati.

Domani?!.... Aspetta cavallo!

Il generale Mollard ed il suo seguito, intanto, procedettero e sparirono nell’ombra.