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i cavalleggeri di monferrato | 165 |
nostro caro amico, fra i morti e feriti dei quali era seminata la collina.
Quella ricerca merita di essere narrata.
La notte era già calata. Noi, illuminati debolmente da una lanterna di scuderia, ci mettemmo ansiosamente a frugare qua e là per le terre, colla speranza, e insieme colla tema, di trovare il mancante all’appello.
Ecco un cavaliere morto eccone un altro non è lui! E continuiamo a cercare. Fatti pochi passi, ecco i colori di Monferrato....! Ecco uno dei nostri cavalleggeri steso a terra supino, immobile, come un morto.... Avviciniamo la lanterna.... E lui!.... è Franchelli!
È lui! cui gli spogliatori notturni, avevano di già tolti gli stivali e, senza preoccuparsi se fosse vivo o morto, gli avevano saccheggiato le tasche, portato via orologio, canocchiale.... ogni cosa; e avrebbero fatto di peggio, se turbati dall’inatteso nostro arrivo, non avessero trovato prudente di sgusciar via, come biscie, protetti dall’ombre della notte.
Cotesto nefando genere di industria, che si esercita fra le aiuole bagnate dal sangue umano, è qualche cosa di orrendo! La spogliazione immediata dei morti e dei feriti dopo la battaglia — spogliazione cui nè fucile, nè cannone valgono ad impedire — è nella sua bruttezza un fenomeno, una specie di prodigio — mi si passi la parola — che sorprende, ributta e avvilisce.
È una delle appendici più schifose che trascini seco la guerra.
Si freme d’ira e di sgomento, pensando a ciò che può toccare a un nostro caro — a noi medesimi — una volta caduti, e creduti morti, sul campo!
Gli avoltoi umani, le iene, i lupi rapaci, si getteranno improvvisi, inavvertiti, su quel povero corpo: e, nell’avidità della preda, nel furore d’ottenerla, gli strapperanno le carni — vivo o morto che sia — per impossessarsi a forza di quell’anello, di quell’amuleto santo, del quale la madre, la sorella, o la sposa, gli avranno ornato il dito, o ricinto il collo, come talismano benedetto e caro. Quel povero corpo starà là, immobile, esangue, impotente a difendersi; trattenendo, se vive ancora, il respiro, affinchè la iena che predilige i cadaveri, non trovi comodo di compiere la sua distruzione, soffocandogli l’ultimo anelito di vita, dianzi risparmiata dalla furia nemica!
I profanatori delle tombe spogliano i cadaveri, ma fuggono dai vivi. Peggio ancora di loro, coteste belve umane, invisibili, inafferrabili, non escono che all’odore del sangue ancora fumante, senza sentire ribrezzo dei morti, senza aver pietà di quelli che respirano ancora!
I primi sono puniti dalla legge. Non sappiamo che ci sia un’altra legge, severa abbastanza, che punisca questi ultimi.
Se non c’è, si faccia!