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100 | parte prima |
feretro dell’amico — accompagnava la salma; non gl’inni della vittoria; ma il mesto rintocco della piccola torre del villaggio, un lungo corteo di amici e di parenti, una devota schiera di pii.... la maestà della morte che passa sul suo trono — la bara — e una fossa spalancata per inghiottire la vita!
Là, davanti al feretro del soldato e del cittadino, degnamente parlarono: il conte Bernardo Arnaboldi, il sig. Giuseppe Franchi, sindaco di un Comune vicino; il bravo capitano Manusardi, e l’egregio Cesare Mola, da noi più su menzionato. Cesare Mola, un’anima antica per verginità di patriottismo, provato amico di Gaspare Rosales e precettore dei nipoti di lui; ai quali, ricordando sempre i severi precetti dell’avo, ripeteva ciò che questi, un giorno, in occasione di un loro anniversario, teneramente scriveva:
“Tu porti il nome di tuo padre, e mio; ricordati che questo nome deve essere senza macchia!„
Compiuto, bene o male, un dovere di vecchio camerata, soddisfatta così l’ardente sete del cuore, confido che lo spirito generoso dei giovani ufficiali di cavalleria, e di chi avrà avuto fin qui la pazienza di leggerci, vorrà perdonare la pochezza del lavoro, per tenere conto del sentimento fraterno che ci ha spinto a dettarlo.
Vorrà tener conto dell’affetto che noi portiamo a quest’arma — di cui abbiamo l’onore di vestire ancora la divisa — e che non muta, nè muterà coll’andare degli anni, ma vive e vivrà sempre nell’anima nostra, come la dolce memoria, e il nome di colei che, per la prima volta, avrà saputo svegliare i battiti del nostro cuore.