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vecchi fasti | 99 |
per l’Italia soffrì carcere ed esilio, quando amarla era delitto; a lui che tutto sacrificò sull’altare della patria, dedico reverente questo volume, perchè i suoi figli imparino da questo quanti sacrifici, dolori e martirii, è costata la libertà di cui oggi godono. Possano essi apprezzarla e sappiano per parte loro difenderla.„
L’epistolario è preceduto da una prefazione chiara, modesta, affettuosa, dalla quale togliamo questo brano:
“Forse la pubblicazione di queste lettere intime non desterà grande interesse nella presente società, che quasi inconscia dei sacrifici d’ogni specie fatti allora, gode dei frutti della libertà a sì caro prezzo conquistata„.
Dolorosa, gelida verità!
Pubblicando quelle lettere, scopo del Rosales è quello di mostrare il capo della Giovine Italia nella sua vita intima di proscritto; far risaltare di quale tenacia di volontà egli andasse fornito, e come in quella natura politicamente ascetica, da molti ritenuta quasi priva di sentimento, albergasse un cuore nobilissimo, atto a profondamente sentire, nel quale il senso dell’amicizia era così potente e radicato da convertirsi in culto.
“Io volli — — scrive il Rosales — — far conoscere il fondatore della Giovine Italia, dopo la infelice impresa Savoiarda, ricercato da tutte le polizie, ridotto a vivere celato fra quattro mura, sotto finti nomi, costretto a corrispondere con sigle e cifrari.... ardente del più vivo patriottismo, roso da una febbre di operare, intento a ideare moti e rivoluzioni, trovando tutti impari ai desideri suoi, privo di mezzi, anelante sempre a libertà.
“Può egli aver errato nella pratica, nei metodi, nella opportunità dei tempi. Può, per quella fede che hanno gli apostoli di un’idea, con troppa fidanza aver sacrificato sull’altare della patria, e trascinato al martirio, chi con cieca fiducia credette al verbo suo. Però la grande figura di Giuseppe Mazzini resterà sempre venerata nell’animo degli italiani; sarà sempre, ardirei dire, prima fra le più spiccate individualità dei precursori del Risorgimento italiano„.
Il secondo intento di Luigi Rosales, nel pubblicare tali lettere, lo si disse, fu il vivissimo desiderio di onorare la memoria dell’adorato padre suo; di colui che ebbe tanta parte nelle vicende della patria e che oggi, dall’ingrata patria obliato, dorme accanto a lui l’eterno sonno nel glorioso tumulo di Bernate.
Luigi Rosales si spense nell’amena solitudine de’ suoi colli irradiati dal più bel sorriso della natura, fra le tranquille pareti della sua dimora prediletta, nella pace soave di quegli affetti famigliari, di che avevano saputo circondarne la vita, le dolci cure della intellettuale sua sposa, l’amore e il rispetto de’ propri figliuoli.
Non il canto della battaglia — — esclamava il professor Mola davanti al