Quando la leggiadrissima Amarilli
Giudicando i miei baci
Più di quelli d’ogn’altra saporiti,
Di propria man con quella
Ghirlandetta gentil, che fù serbata
Premio al vincitor, mi cinse il crine.
Ma lasso aprica piaggia
Così non arse mai sotto la rabbia
Del can celeste alhor, che latra, e morde,
Come ardea il cor mio
Tutto alhor di dolcezza, e di desio,
E più che mai ne la vittoria vinto
Pur mi riscossi tanto,
Che la ghirlanda trattami di capo
A lei porsi, dicendo:
Questa à te si convien, questa à te tocca,
Che festi i baci miei
Dolci ne la tua bocca.
Ed ella humanamente
Presala, al suo bel crin ne feo corona.
E d’un’altra, che prima
Cingea le tempie à lei, cinse le mie.
Ed è questa, ch’io porto,
E porterò fin al sepolcro sempre,
Arida come vedi,
Per la dolce memoria di quel giorno,
Ma molto più per segno
De la perduta mia morta speranza.
Erg.Degno sè di pietà più che d’invidia