Pagina:Pastor fido.djvu/68


   Al baciar de la mia
   Immobile e ristretta,
   La dolcezza del mel sola gustai.
   Ma poi ch’anch’ella mi s’offerse, e porse
   L’una e l’altra dolcissima sua rosa,
   (Fosse ò sua gentilezza, ò mia ventura,
   So ben che non fù Amore)
   E sonar quelle labbra;
   E s’incontraro i nostri baci (ò caro
   E prezioso mio dolce tesoro
   T’ho perduto e non moro?),
   Allora sentij de l’amorosa pecchia
   La spina pungentissima soave
   Passarmi il cor; che forse
   Mi fu renduto alhora
   Per poterlo ferire.
   Io poi ch’a morte mi sentij ferito,
   Come suol disperato
   Poco mancò, che l’homicide labbra
   Non mordessi, e segnassi.
   Ma mi ritenne oime l’aura odorata,
   Che quasi spirto d’anima divina
   Risvegliò la modestia;
   E quel furore estinse.
Erg.
   O modestia molestia
   Degli amanti importuna
Mir.
   Già fornito il su’ arringo havea ciascuna,
   E con sospension d’animo grande
   La sentenza attendea,