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   Nè per contender teco; che nè posso
   Nè fare il debbo; ma son padre anch’io
   D’unica e cara e, se mi lece dirlo,
   Meritevole figlia: e con tua pace,
   Da molti chiesta e desiata ancora.
   Mon.Titiro, ancor che queste nozze in cielo
   Non iscorgesse alto destìn, le scorge
   La fede in terra, e ’l violarla fora
   Un violar de la gran Cintia il nume,
   A cui fù data: e tu sai pur quant’ella
   È disdegnosa, e contra noi sdegnata.
   Ma, per quel ch’i nè sento, e quanto puote
   Mente sacerdotal rapita al cielo
   Spiar là sù di que’ consigli eterni;
   Per man del fato è questo nodo ordito:
   E tutti sortiranno (habbi pur fede)
   A suo tempo maturi anco i presagi.
   Più ti vò dir, che questa notte in sogno
   Veduto hò cosa, onde l’antica speme
   Più che mai nel mio cor si rinnovella.
   Tit.Son i sogni alfin sogni, e che vedesti?
   Mon.Io credo ben, ch’abbi memoria (e quale
   Sì stupido è trà noi, ch’hoggi non l’habbia?)
   Di quella notte lagrimosa, quando
   Il tumido Ladon ruppe le sponde,
   Sì che là dove avean gli augelli il nido,
   Notaro i pesci, e in un medesmo corso
   Gli huomini e gli animali,
   E le mandre e gli armenti