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   Che Cintia era sdegnata, e che placarla
   Si sarebbe potuto, se Lucrina
   Perfida Ninfa, ò vero altri per lei
   Di nostra gente, à la gran Dea si fosse
   Per man d'Aminta in sacrificio offerta:
   La qual, poi ch'ebbe indarno pianto e 'ndarno
   Dal suo nuovo amator soccorso atteso,
   Fù con pompa solenne al sacro altare
   Vittima lagrimevole condotta;
   Dove, à que' piè, che la seguiro in vano
   Già tanto, ai piè de l'amator tradito
   Le tremanti ginocchia alfin piegando
   Dal giovane crudel morte attendea.
   Strinse intrepido Aminta il sacro ferro,
   E parea ben che da l'accese labbia
   Spirasse ira, e vendetta; indi à lei vòlto
   Disse con un sospir nuncio di morte:
   Da la miseria tua, Lucrina, mira
   Qual amante seguisti e qual lasciasti,
   Miral da questo colpo: e cosi detto
   Ferì se stesso, e nel sen proprio immerse
   Tutto 'l ferro, ed esangue in braccio à lei
   Vittima, e sacerdote in un cadeo.
   A sì fèro spettacolo, e sì nuovo
   Instupidì la misera donzella
   Trà viva e morta, e non ben certa ancora
   D'esser dal ferro, ò dal dolor trafitta.
   Ma, come prima hebbe la voce, e 'l senso,
   Disse piagnendo; ò fido, ò forte Aminta,


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