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   Ma fuor d’Arcadia il ciò ridir non lice.
   Tu dunque ò fedelissimo compagno,
   Diletto Uranio mio, che meco à parte
   D’ogni fortuna mia sè stato sempre;
   Posa le membra pur, c’havrai ben onde
   Posar anco la mente. ogni mia sorte,
   S’ella pur fia, come l’addita il cielo,
   Sarà teco commune. indarno fora
   Di sua felicità lieto Carino,
   Se si dolesse Uranio. Vra. ogni fatica,
   Che sia fatta per te, pur che t’aggradi
   Sempre, Carino mio, seco hà il suo premio.
   Ma qual fù la cagion che fè lasciarti,
   Se t’è sì caro, il tuo natio paese?
   Car.Musico spirto in giovanil vaghezza
   D’acquistar fama, ov’è più chiaro il grido.
   Ch’avido anch’io di peregrina gloria.
   Sdegnai, che sola mi lodasse, e sola
   M’udisse Arcadia, la mia terra, quasi
   Del mio crescente stil termine angusto.
   E colà venni, ov’è sì chiaro il nome
   D’Elide, e Pisa, e fa sì chiaro altrui.
   Quivi il famoso EGON di lauro adorno
   Vidi poi d’ostro, e di virtù pur sempre:
   Si che Febo sembrava, ond’io devoto
   Al suo nome sacrai la cetra e ’l core.
   E ’n quella parte, ove la gloria alberga,
   Ben mi dovea bastar d’esser homai
   Giunto à quel segno ov’aspirò il mio core,


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